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Urbex 2020

Finalmente sono andata a fare URBEX.

Che cos’è “fare URBEX”?

Andare alla scoperta di luoghi abbandonati.

   

La prima regola per diventare un ‘Esploratore Urbano’ è: non rivelare mai il posto che si visita.

Si possono pubblicare foto dell’edificio, ma non bisogna MAI dire dove si trova.

Purtroppo, oltre agli appassionati, ci sono tante persone che vanno in questi luoghi solo per distruggere e rubare, ecco perché si tengono segreti.

Con questo post non voglio incentivare nessuno a fare Urbex, anche perché, in alcuni posti, se si viene scoperti si rischia una bella denuncia. Occorre stare attenti ed andare con persone esperte.

Il mio primo URBEX è stato la visita di un manicomio abbandonato, ed è stata un’esperienza davvero molto particolare.

Nonostante siamo il primo e unico paese al mondo (a oggi) ad aver chiuso i manicomi, grazie alla legge Basaglia del 1978, l’ultimo ha chiuso solo qualche anno fa, quindi, anche se non in prima persona, tante storie le abbiamo vissute. Tanti sono stati i film e i documentari in cui si mostravano le condizioni di vita in quei luoghi.

Vedere le stanze dell’isolamento, i bagni e le vasche da bagno, all’aperto, nelle camere comuni e senza un minimo di privacy, mi ha fatto davvero venire i brividi.

Chi entrava in un manicomio, raramente ne usciva.

Elettroshock, sedativi, farmaci psicotropi: in questi posti le persone venivano totalmente private della loro identità.

Guardando “quell’abbandono” mi sono tornati alla memoria tante storie e racconti tramandati di generazione in generazione.

In quel silenzio potevo udire le urla strazianti dei pazienti a cui non era concesso vivere.

Ho potuto toccare con mano la mancanza totale dei diritti umani.

Non vedo proprio come si possa dire nel XXI secolo che “si stava meglio quando si stava peggio”.

È incredibile tutto ciò che è ancora intatto in quel luogo: la lavanderia, il reparto del cucito, i dormitori, le stanze dell’isolamento, l’odore di chiuso, di vecchio, gli oggetti visibilmente consumati dal tempo.

      

Abbiamo trovato tavoli, panchine, macchine da cucire, camici, vestiti di ogni genere, cappotti, scarpe, armadi e scaffali vuoti ed anche alcune bambole, che mi hanno fatto impressione e tenerezza allo stesso tempo.

Vecchi quotidiani e giornalini pornografici buttati a terra, dimenticati.

 

È stato curioso vedere le notizie degli anni in cui nel manicomio “c’era vita”.

E ancora, riviste televisive con programmi tv che neanche ricordavo.

Le date si aggiravano attorno alla fine degli anni 90.

C’erano anche schede di pazienti con le date di nascita; pazienti che oggi avrebbero più o meno l’età dei miei genitori.

Chissà che fine avranno fatto quelle persone!

Sparse un po’ ovunque, c’erano valigie, tante valigie.

Forse tra tutti quelli visti, le valigie, sono state l’oggetto che mi ha colpita maggiormente.

Io che vivo praticamente con la valigia in mano, ripensavo a tutte quelle persone che, invece di andare incontro alla vita, alla scoperta, andavano incontro all’inferno e alla morte, con una valigia in mano.

 

Sono passati diversi giorni da quella visita, ma se ci penso, ancora posso sentire i brividi sulla pelle.

Esperienza unica e indimenticabile che sicuramente ripeterò.

O forse no ?

…Nel frattempo ringrazio Fernando Naldoni e Serena Dasso per avermi accompagnata in questa bellissima esperienza e per le foto che mi hanno regalato…

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